Mascalucia: 18 mesi alla madre del bimbo azzannato dal dogo

Molti “lettori” non si soffermeranno, appunto, a leggere questo articolo. Un’usanza piuttosto diffusa sui social network è quella infatti di condividere una notizia senza nemmeno prendersi la briga di sapere cosa ci sia scritto dentro. Ne è una prova il fatto che i commenti sono sempre riferiti al titolo e non al contenuto dell’articolo, e quindi assolutamente insensati.

Per chi volesse veramente “leggere” e analizzare i fatti insieme a noi, ecco la nostra opinione.

La condanna a 18 mesi di carcere per la madre

Il 16 agosto scorso, un bimbo di 18 mesi è stato ucciso da uno dei due Dogo argentino di famiglia, sotto gli occhi della madre, Stefania Crisafulli. A distanza di circa 6 mesi la condanna, ironia della sorte, esattamente a 18 mesi (pena sospesa perchè incensurata e non menzione negli atti giudiziari).

Il legale della donna ha affermato: “Stefania non si ritiene colpevole, ma non avrebbe retto psicologicamente al processo. Con i tempi della giustizia italiana, avrebbe significato rivivere la perdita del figlio Giorgio per anni. Le indagini hanno fatto chiarezza sulla dinamica dell’accaduto. La signora era vicino al figlio, e non l’aveva in braccio. Il dogo femmina era in casa, mentre quello più piccolo in giardino. E’ stato quest’ultimo, all’improvviso e senza motivo apparente, ad assalire il piccolo”. 

Le solite frasi dei giornalisti

Si è detto tanto su questa vicenda, e come al solito il lavoro del giornalista medio è stato quello di cercare la notizia che facesse più scalpore.

Le notizie riportate sono sempre scritte da chi, evidentemente, non ha molta dimestichezza col mondo cinofilo. Sempre superficiali e inesatte, condite da particolari macabri e dettagli che non avremmo voluto sapere (perchè probabilmente falsi).

In occasione della condanna una frase in particolare ci ha colpiti: “Anche per il mestiere della madre, è ovvio che sapesse come trattarli“. Se a qualcuno fosse sfuggito in questi mesi, la madre del bimbo, Stefania Crisafulli, è infatti un Medico Veterinario. Secondo alcuni, questo sarebbe sinonimo di conoscenza profonda dei cani e del loro comportamento. Peccato però che le cose non stiano in questo modo.

Un veterinario è un professionista che normalmente si occupa della salute dei nostri animali domestici. All’interno della professione esistono varie suddivisioni, esattamente come in medicina umana: ci sono i chirurghi, gli oncologi, gli anestesisti, gli ortopedici e via dicendo. Ci sono anche i Medici Veterinari Comportamentalisti, una qualifica che si ottiene dopo un master di specializzazione in medicina comportamentale, dedicato a chi intende occuparsi di questa materia.

Chiedere a un veterinario “come dovrebbe comportarsi il mio cane?”, equivale a chiedere ad un Pediatra “come devo fare con mio figlio adolescente?“. La confusione sta nel fatto che a domande sul comportamento, molti veterinari danno risposte (basate sulla loro esperienza e non su studi fatti), esattamente come un pediatra potrebbe dare risposte su un adolescente perchè anche lui padre di un figlio ribelle.

La sorte dei due Dogo

Anche su questo tema si è scritto di tutto e di più. Per fortuna il Giudice ha deciso di risparmiare la vita al cane (non si capisce perchè anche l’altro rischiava di morire, nonostante si trovasse in casa e non in giardino al momento dei fatti).

Il Gup ha disposto che i cani non fossero abbattuti dopo che una perizia ha accertato che sono recuperabili, e li ha affidati a un’associazione animalista che dovrà occuparsi della loro rieducazione. Da qualche parte si è letto anche “I cani saranno sottoposti ad un percorso di socializzazione per eliminarne l’aggressività”, che è una frase non soltanto sbagliata, ma che manda un messaggio totalmente fuorviante.

Siamo stra-felici che i cani non siano stati abbattuti, sia chiaro: sono soltanto vittime dell’accaduto insieme alla famiglia e soprattutto al piccolo che ne ha fatto le spese. Bisogna però analizzare la situazione oggettivamente e trarne le conclusioni più corrette.

Si è letto spesso che entrambi i cani vivevano in un box. Non sappiamo quasi nulla sulla loro vita prima dei fatti a parte la loro “detenzione”. Non sappiamo come sono andate realmente le cose, e quale sia stato il motivo dell’aggressione. Per la verità, al momento, non ci interessa granché, perché non risolverebbe nulla.

Quello che sappiamo per certo è che un cane ha aggredito un bambino e l’ha ucciso. Non l’ha minacciato, non ha ritualizzato un comportamento aggressivo come spesso accade, ma ha agito. Pensare che un percorso di socializzazione possa eliminarne l’aggressività è del tutto forviante e inesatto.

Nessun percorso potrà mai sopperire alle lacune e alle esperienze che quel cane avrebbe dovuto fare nei primi anni di vita. I 3 anni vissuti in un box gli hanno insegnato a relazionarsi in un certo modo quando si trovava all’esterno. Pensare di poter eliminare quelle esperienze, e l’esperienza dell’uccisione come si fa con la memoria di un Pc è pericoloso, ed è una mancanza di rispetto nei suoi confronti.

Chi si potrebbe mai prendere la responsabilità di dire “ok, è guarito, adesso può stare con i bambini”? Quale genitore esporrebbe il figlio a questo rischio? Che un percorso sia necessario è fuor di dubbio, ma l’obiettivo non sarà quello di socializzarlo per eliminare l’aggressività. L’obiettivo primario sarà capire l’individuo, il cane. Capire i suoi pensieri, le sue esigenze e le sue motivazioni, per fare in modo di costruire una nuova vita, più rispettosa del suo essere e decisamente meno pericolosa per se e per gli altri.


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